VINITALY: la fiera “all’italiana” più importante, ma per chi è la più utile?
- Nello Gatti
- 7 giorni fa
- Tempo di lettura: 10 min
Mettiamoci in testa una cosa, anzi tre:
1- Il vino diminuirà (nella produzione locale e nei consumi globali)
2 - Vinitaly rappresenta la più grande celebrazione tra opportunità ed estetismo del vino italiano
3 - Comunicazione e business quando vanno a braccetto fanno danni e se non lo fanno, mentono
Detto ciò, cosa rappresenta Vinitaly oggi? La perfetta sintesi di noi italiani, senza limitarsi al solo comparto vino. Tutti ne parlano, dai veterani agli assenteisti, pronti a condannare gli irragionevoli prezzi proposti dall’ente fiera e dalla città che la ospita, per poi esibire con soddisfazione in bacheca quel senso di utilità che vogliamo ritagliarci all’interno della sua vetrina, come a dire “io c’ero”.

Ma a proposito di chi c’era, al di là dei numeri comunicati e delle pubblicazioni, analizziamo un punto fondamentale: perchè?
Per comprenderlo meglio, occorre innanzitutto riavvolgere il nastro:
Vinitaly è la principale fiera business del vino in Italia, ma come ci suggerisce il nome, è legata fondamentalmente a quel Paese così importante ma anche fragile quando occorre strategia, compattezza e velocità di reazione. Altri Paesi hanno tutto l’interesse (insieme a economie ed estensioni disponibili) nell’incrementare i numeri per poter in primis assorbire la domanda locale e successivamente opzionare quella fetta di consumatori (presente o futura) che, globalmente parlando, trova nel vino una bevanda da occasione, non una consuetudine culturale. Inoltre, altri Player stanno rafforzando la propria posizione “internazionale” in maniera tale da far ricadere su sé stessi l’onere di essere un grande Paese produttore capace di veicolare gli scambi commerciali globali, mentre noi rimaniamo stagnanti sotto il peso di burocrazia, divisioni e quell’innata virtù di fare le cose “all’italiana”.
Abbiamo oltre 3000 anni di storia, più di 70 DOCG e abbiamo superato le 300 DOC, a volte ricondotte a poche cantine ed altre solamente conosciute per essere “la prima” o “la più piccola”, con menzioni, sottozone e recentemente pievi a sottolineare l’importanza della profondità nella ricerca e sviluppo, ma che rischiano di ingrandire ancora di più l’iceberg cui va incontro il nostro Titanic che, ça va sans dire, è il consumatore.
E i consumatori? Mentre le tipologie aumentano, loro diminuiscono, o almeno così ci è parso di leggere in ogni notizia emersa negli ultimi mesi, cercando di accanirsi con slogan e retorica sulle nuove generazioni come ciclicamente accade da un secolo a questa parte. Il problema è che quando se ne parla i giovani sono menzionati ma non inclusi nella discussione, ricordando vagamente quella famosa Conferenza di Monaco in cui le grandi potenze decisero le sorti della giovane Cecoslovacchia… e infatti poi abbiamo pagato caro tutto ciò!
Infine, tocchiamo il suo punto fondamentale: si vocifera che Vinitaly sia destinata prevalentemente a buyer e quindi orientata al b2b, ma siamo in Italia e quindi non manca la fantasia per poter entrare con un tagliandino PRESS senza aver mai scritto nulla, TRADE senza aver mai acquistato una bottiglia o ESPOSITORE quando tuo zio che ha ricevuto 2 omaggi dalla cantina ti porta con lui in macchina così “ti fai un giro in quel di Verona”.
Ma c’è di più:
Quante Cantine sono realmente in grado di convertire le opportunità messe in campo della fiera? Quanti operatori avvieranno realmente trattative commerciali da quelle produzioni assaggiate in fiera e quanto obiettivi saranno gli addetti stampa che, ognuno a seconda della propria sigla o regione, scarteranno il contenitore per mostrarne il reale contenuto?
Sono queste le domande che mi sono posto a fronte di un’ennesima edizione in cui non mancheranno i comunicati e i titoloni che grideranno al successo e al “record di presenze”, ma che ancora una volta, a dispetto di una massiccia presenza delle Istituzioni, fatica a far comprendere le istruzioni.
Ci proverò mettendo a fuoco alcuni punti per poterla contestualizzare a 360°, perchè Vinitaly è e resta una fondamentale opportunità di incontro e crescita del comparto, basta comprenderne il perchè:
PRODUTTORI: dai piccoli che tentano il colpo di fortuna, ai grandi che delimitano con barriere e selezione all’ingresso la propria postazione, è grazie a loro se la macchina va avanti. Tra opere di design e postazioni essenziali, banchi collettivi e stand di fortuna, l’asticella si alza parecchio in alto dal momento che il canone estetico deve rispecchiare gli alti standard del Made in Italy. Ma oltre il gossip, serve davvero tutta questa scenografia? In giro per altre fiere ci si comporta in maniera decisamente più sobria, ma è anche vero che in Italia forse il problema non sono quelle postazioni che pagano fior di quattrini per esibire tutta la loro potenza economica ma quelle carenti di economie e mercato che, illuse dallo slogan che ripete “la fiera italiana più grande”, ricorrono ad investimenti un po’ troppo azzardati per poi ridursi a una mera partecipazione di circostanza, dove il numero di biglietti da visita è di gran lunga inferiore alle migliaia di Euro spese. Questo significa che Vinitaly è solo per quei brand già consolidati? Assolutamente no, ma quando una Cantina si presenta senza risorse, senza novità, senza idee, con le sole armi della “passione” e della “qualità” spesso si ritrova a far i conti con il business che, al contrario delle scenografie, è molto più severo. Serve coraggio nel rispondere in alcuni casi, alla frase “bisogna esserci per forza”, con un sincero “no”.
BUYERS: la parola magica. Rimbomba il nome della loro categoria sugli articoli di giornale, li abbracciano i titolari delle cantine a cui hanno fatto visita e li sognano quelli che non hanno programmato un’agenda appuntamenti in fiera. Sono i buyers, cuore pulsante delle trattative generate (o almeno così si spera) in fiera. Tra occhiate e rincorse, incontri fissati e quelli saltati, gli sgamati e i vacanzieri, anche qui il grande quesito: In quanti sono realmente operativi con potere decisionale o con capacità di poter investire su nuove forniture dall’Italia, magari approfittando proprio della loro presenza in fiera per poter allargare il portfolio? Quante realtà sono a loro volta “pronte” per poter affrontare i mercati esteri di questi soggetti? Ma soprattutto, come rafforzare una visione d’insieme tra produzione e mercato senza ridurci all’iniziativa privata che premia la sola commercializzazione e non tiene conto delle ben più ampie (e talvolta gravi) conseguenze societarie/economiche/sociali? Non dimentichiamo che il vino è un equilibrio tra uomo/economia/natura e questi 3 elementi, per quanto spinte da logiche imprenditoriali, devono completarsi.
STAMPA: “sono in mezzo a noi, intorno a noi, in molti casi siamo noi” come “quelli che benpensano”. Oggigiorno non c’è più una netta distinzione tra chi comunica per professione e chi per esercitare il diritto di parola, tanto si legge poco e ragiona ancora meno, l’importante è pubblicare qualcosa per portarsi a casa un pezzo di quella vetrina chiamata Vinitaly. Alcuni sono alla disperata ricerca di interviste, rassegne, opinioni che finiranno nella migliore delle ipotesi sulla propria bacheca mentre altri, spalla mediatica del padrone di turno, hanno già preparato il pezzo sulla propria regione o associazione “alla conquista di Vinitaly”. In tanti si fermano al comunicato, da copiare e incollare senza alcuna revisione, mentre altri danno prova delle proprie doti di concentrazione e pragmatismo riuscendo in pochi minuti e in condizioni impervie a sentenziare con “i migliori assaggi” una personale sintesi dove calici e contapassi suggerirebbero una maggior premura, ma che fai, torni a casa senza aver detto la tua? Impossibile. Ovviamente, non sono mancati i grandi nomi, della stampa italiana ed estera, come le grandi agenzie e le famose testate che ci accompagnano durante l’anno nella comprensione di dati e trend. Ma come recita il detto, “troppi galli a cantar non fa mai giorno” e quello che resta di articoli, notizie e quanto effettivamente detto resta molto spesso incollato a questo preciso istante e luogo, mentre il corso delle azioni da intraprendere sono da avviare con decisione e visione lungimirante oltre che multi-disciplinare, perchè parliamoci chiaro, il mondo del vino non appartiene solamente a chi il vino lo produce o a chi è stato conferito un titolo in questo campo, però mi aspetto principalmente da loro delle manovre più energiche e che guardino oltre il “territorio dal grande potenziale” e “la qualità aumentata”. Anche perchè, parlando di comunicazione, è molto soggettivo e poco limpido il concetto di “qualità”. A tal proposito, come suggerisco sovente alle cantine, consiglio un cambio di rotta: dal qualità/prezzo al contributo/valore.
Infine, come non pensare a loro: il personale non qualificato. Non hanno alcun interesse verso chi gli sta servendo il vino, ma tocca recitare una teatrale opera di “zitto e annuisci” per potersi accaparrare quel calice da far roteare e poi pubblicare subito sui social. A volte si fanno definire winelover, in altri casi blogger, ma in entrambi i casi di vero c’è una cosa: il vino lo bevono. E infatti il problema è questo, perchè andrebbe degustato e in altre occasioni comprato. Ma sono parte della fiera, come il padiglione della Polizia di Stato e la visita dei politici, un qualcosa di cui proprio non si può fare a meno. Non mi meraviglio ormai nemmeno più nel ritrovarli a dirigere masterclass, a presidiare stand in qualità di critici o addirittura condurre talk su comunicazione e futuro, dove l’unica sintesi che posso fornire a fronte di ciò che ho visto e ascoltato è: Prevedibilità. Ovvero, vecchi contenuti su nuovi canali.
E non mi meraviglio nemmeno più della sommelerie che promette di voler avvicinare mentre vige una sorta di cameratismo nelle postazioni e della ristorazione lasciata ancora una volta agli angoli di una fiera così vitale per loro. Delle celebrities pronte a strapparsi un ulteriore pezzetto di ego anche dal mondo del vino (vista l’inflazione nel mondo del food) e dei soggetti (c’è anche chi li chiama influencer) che ancora poggiano su un piedistallo fatto di selfie compiacenti e followers truccati.

Come stupirsi d’altronde? siamo il Paese che celebra le proprie vittime dopo averle assassinate, che corre ai ripari solo quando i danni causati sono irreversibili e che convive, nonostante la sua ricchezza, con un beato provincialismo sempre pronto a guardare dallo spioncino il proprio vicino augurandosi che gli vada male.
Ma ora che le fiere son cambiate, i costi sono aumentati, la pioggia di finanziamenti è finita e i mercati sono più chiusi, vogliamo continuare a navigare in questa comunicazione inquinata o approfittiamo del mega raduno che ogni anno ci porta a Verona per discutere e prendere decisioni, oserei dire, epocali?
Ecco di cosa NON si è parlato anche quest’anno e che, a mio modesto avviso, andrebbe affrontato con urgenza:
Il vigneto Italia, variegato, esteso e complesso, ha la copertura economica e gli spazi necessari per poter ridefinire i propri canoni nei decenni a seguire? Estirpi, conversioni, quote e impatto della monocoltura attendono una decisione politica prima che arrivi quella più violenta del capo assoluto: la natura.
Quanta curiosità dietro i vini no alcol, d’altronde per mesi non abbiamo parlato di altro. Ma l’Italia in questo trend dettato da correnti esterne si prefigge di affrontare l’argomento trattandolo come vino, alternativa al vino, o bevanda? La spinta dall’esterno, senza una vera e propria consapevolezza di ciò che si andrà a fare, in vigna, in cantina e sui mercati… rischia di generare un effetto domino che abbiamo già vissuto con un altro filone, anzi tifoseria: i vini “naturali”.
La grande industria che gravita attorno al mondo del vino, tra cui vetro, alluminio, carta, sughero, plastica e materiali vari… si sta riadattando per permettere un consumo e un’offerta in linea con i prossimi scenari? È forse giunto il momento di convertire in maniera massiccia la grande industria del packaging per evitare di protrarre questa lenta e inesorabile fine dell’epoca della bottiglia da 0.75l ? Lattina, sughero, bag in box, tappi a vite, ecc stanno investendo sulla fruizione e la comunicazione, oltre che in ricerca e sviluppo? O saremo nuovamente ricordati come i produttori della “Italian Coca Cola”?
Alcol e salute. Si è detto a più riprese che “il vino è cultura” ma a guardarsi intorno non fa più tanto effetto questa matrice, o forse non basta. Come deve ricalibrare il proprio messaggio il mondo del vino, così ancorato al passato che persino i superalcolici e le sigarette (categorie sicuramente più nocive) sono riuscite a superarlo?
Contrariamente da quanto appare sulle pagine web e sulle brochure, dove appare una quasi totalità di Aziende alla 3’,4’ e via dicendo generazione come se l’Italia non abbia mai conosciuto un boom economico che dal dopoguerra al nuovo millennio ha abbandonato i campi per abbracciare l’industria e i servizi, tante, forse troppe aziende, sono nate negli ultimi 3 decenni quando gli investimenti, i mercati e i regimi contributivi erano in quel famoso periodo tra il “si fa ma non si dice” e le “vacche grasse”. Ma adesso che il progresso tecnologico è entrato in cantina, il know-how di ogni viticoltore è aumentato e le relative produzioni sono cresciute, a chi dedicheremo questa selvaggia spumantizzazione di ogni varietà da ogni areale? Certo, ogni processo che dà spessore è particolarmente interessante, specie per comprendere la versatilità e la resa nel tempo di alcuni nostri prodotti, ma fuori dalle nostre cantine, dove i consumi di bollicine aumentano come aumentano i Paesi produttori di Sparkling, dal Regno Unito al Cile passando per Scandinavia e Cina, la domanda potrebbe subire una brusca battuta d’arresto dettata proprio dall’esubero di player mondiali incalliti verso questa piccola fetta di business ancora in attivo. Inoltre, c’è ancora tanto Prosecco, Moscato e Lambrusco a popolare con prezzi convenienti gli store e i supermarket dei nostri principali e secondari mercati. Vogliamo quindi abbandonare l’industria del “prezzo conveniente” e della massa critica per investire su un diverso posizionamento in questi mercati? Se sì, occorre anche in tal senso una logica di prezzo e massa critica, altrimenti ci si ferma alla curiosità.
A proposito di mercati e dazi. Ma la Brexit scusate? I Monopoli? Le accise? Le dogane? Tutto ciò fino a ieri non esisteva? Sono consapevole delle assurdità che a intervalli irregolari ascoltiamo oltreoceano, ma come rendere le nostre produzioni un valore intrinseco insostituibile (e sostenibile economicamente) dovrebbe essere il quesito da porci quando ci rivolgiamo all’estero, dal Canada alla Nuova Zelanda. Perchè nuovi mercati crescono, come India e Nigeria, ma altri vanno riaggiornati. Quell’ondata migratoria che (forse) ci ha aiutati a veicolare le nostre produzioni tra Germania, Francia, Benelux, UK e Stati Uniti, è legata a un fenomeno storico che oggi ha cambiato i connotati e la globalizzazione dei mercati ha anche contaminato una ristorazione e un canale off-trade che non può più giocare sull’elemento tradizionale e patriottico. Quindi, dove vogliamo andare con le nostre bottiglie ora che le trattoria “da Luigi” con foto di Alberto Sordi e fiaschetti di Chianti sono solo una celebrazione anacronistica dell’Italian Sounding?
Ristoratori: ovvero coloro che il vino lo comprano, lo vendono e molto spesso lo raccontano. Perchè dobbiamo penalizzare proprio loro dalla fruizione e la partecipazione al Vinitaly? Molti sommelier, come già citato, sono impegnati nelle varie regioni e in diversi banchi, ma molto spesso li si ritrova a dover eseguire semplici operazioni di facchinaggio specializzato. Quando si darà loro e agli operatori di sala la giusta attenzione, magari offrendo spazi/modalità/luoghi diversi da quelli della fiera, proprio per poterli accompagnare e anzi sfruttare (in senso buono) in quella sequenza di avvicinamento culturale tanto sbandierata ma poi non messa in atto? In parole povere: perchè non si investe anche su di loro che, a rigor di logica, lavorano tra produttore e consumatore?
Ecco, in questi 4 giorni mi sarebbe piaciuto ascoltare qualche risposta in merito a questi temi, perchè di gente ce n’era tanta e non mancavano le personalità autorevoli o i pezzi grossi, ma al coraggio di dire le cose come stanno troppo spesso si preferisce riesumare citazioni o ricordi di quelle persone che in passato le sfide le hanno affrontate davvero, mentre noi torneremo l’anno prossimo al Vinitaly per il nostro selfie di rito e la lista dei buoni propositi.

Comments