Gli eventi futuristi finivano spesso in rissa, noi rincariamo la dose servendo vino, polemica e dibattito al tavolo della degustazione di quest’oggi. L’argomento si sa ma non si dice, la categoria spacca in due gli appassionati come nei migliori derby calcistici, produttori e consumatori compresi: il vino "naturale".
Perché lo faccio? Perché come nell’opera futurista, voglio “scaraventare il pubblico al centro dell’opera”, scrostarlo dal preconcetto e invitarlo a partecipare in nome e per conto di quel movimento, riconosciuto o meno, sempre più sulla bocca e sui calici delle nostre tavole.
Esiste, non esiste? Non lo sappiamo, non esistono prove scientifiche a riguardo e da buoni italiani non è nelle nostre corde compattarci per delinearne un filo logico/istituzionale/legislativo unitario, ma possiamo capire dall’identikit di alcuni vini quali sono le intenzioni di singoli produttori che attraverso associazioni, certificazioni e vari loghi sul retroetichetta vogliono dare un segno tangibile della propria filosofia in vigna e in cantina verso il futuro, perché “il futuro vuol dire progresso” citando proprio Marinetti.
La location dello scontro, a pochi passi da Lacerba di Milano, è più ad est, da EST, un’enosteria tra brutalismo e rigenerazione che dispone di un’ampia sala con al centro una lunga tavolata imperiale dove di raffinato ci sarà ben poco, visti i presupposti e la presenza di alcuni produttori.
In chiave tecnica, la metafora che duetta tra vino e futurismo è già stata egregiamente percorsa dall’ottimo Armando Castagno che, oltrepassando le banali sensazioni illogiche oggetto delle conversazioni di questa sera, ha brillantemente ricondotto alla disciplina anche alcuni termini entrati ormai nell’odierno vocabolario del degustatore quali vibrante, teso, dinamico.
Quindi cosa c’è di nuovo?
Partiremo dalle similitudini: la rottura, il concetto di artista che è artista tutto il giorno come il vignaiolo è vignaiolo tutto l’anno, i grandi proclami e le sue eredità per poi passare agli elementi diametralmente opposti come la percezione della terra e dell’industria, la visione “dinamica” del vino e l’importanza degli insegnamenti passati.
Inoltre, come nel 1909 il fondatore Filippo Tommaso Marinetti pubblica sulle pagine de Le Figaro il proprio manifesto, noi vogliamo raccoglierne l’estro per riadattare gli stessi caratteri al format di questa degustazione, in cui il pubblico non avrà particolari informazioni tecniche sui vini che assaggerà, ma sarà invitato ad una più ampia analisi che lo porterà a ragionare su logiche e paradossi, consensi e controsensi, di un segmento vino sempre più caotico e potente.
Eccoli qui dunque, Vigneron vs. Futuristi, con una frase tratta dal manifesto ad allinearsi al pensiero del produttore e un’altra a decifrare il messaggio collegato a quel simbolo in etichetta. Adesso parola al palato e sfogo ai calici, il perbenismo lo abbiamo lasciato fuori ad attenderci (se torneremo). Fai solamente attenzione a non scaldarti troppo per poi finire come lui che, anti-cattedratico e anti-sistema, diventerà Accademico d’Italia e obbediente al regime.
“Partono tutti incendiari e fieri, poi finiscono pompieri”
La Piotta – MISunderstanding 1
“Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli! Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’Impossibile?"
Tentativo di incomprensione, parte 1. Parte Riesling, italico non renano, e rifermenta in bottiglia. Tappo a corona bianco, un punto di domanda trasparente e schizzi di colore alla Jackson Pollock in etichetta. Lui è Luca Padroggi, a metà tra un personaggio delle serie TV americane e il ragazzo di campagna di Pozzetto che, ironia della sorte, ha ambientato alcune scene proprio vicino alla sua tenuta. Il vino è biologico, vegan, denso e incandescente, come una citronella che si sta squagliando o un miele di castagno a fine barattolo. Segue principi fieri, è un FIVI, fidati, la pianta la conoscono da quando è stata piantata e il vino da quando stasera l’hanno avvinato nel calice. Gesticola più di quanto parla, sembra rozzo ma in realtà è timido, un timido ubriaco come Gazzè. Un buon calice di modestia per un esperimento che deve ancora tarare il definitivo “ok il prezzo è giusto” ma comincia a far rumore tra enoteche e appassionati alla ricerca di etichette strampalate e rifermentati. Un buon esempio di dialogo tra generazioni in vigna, tra consumatore da wine bar e della domenica in famiglia. Nota a favore: facile dare un giudizio ad un vino considerando solo quel momento che anticipa e regge l’assaggio, un po’ meno quando, ampliando lo scenario, si prende in considerazione quanto possa essere complesso produrre, ottenere, ricavare e mostrare in quel continente vitivinicolo lombardo che risponde al nome di Oltrepo’. Bravo Luca, come Joseph Stella dipingi con creatività il processo industriale che respiri.
BIOS VEGAN: attesta che i prodotti alimentari biologici siano ottenuti senza l’utilizzo di sostanze di origine animale, materiali di confezionamento primario e secondario incluso.
Bossanova - Trebbiano
“Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.”
L’incontro rock, l’estetica pop, il filo country… non mancano le note a questi due autori né tantomeno la forza di credere in un sogno chiamato Trebbiano. Dalle colline teramane, vigneti di circa 50 anni e pratiche che oltre ai pochi accorgimenti e suggerimenti, riprendono la lezione di Sir Wiston Churchill in “lacrime, sudore e sangue”. Personalmente, due persone che mi hanno accolto nella loro filosofia per trasparenza di scambio e senza mai tentare di persuadere o prevaricare, Vi.Te non è Scientology! Una piccola macerazione e poi 9 mesi in vasca di cemento, poca dietrologia e una buona dose di pragmatismo, Nat e Andrea sono qui per forzare quel muro del pianto che pietrificava l’Abruzzo in produzioni non all’altezza delle caratteristiche del territorio o ancor peggio del vitigno di partenza. Lo si scuote e il calice riflette un cielo stellato, sono stimoli olfattivi che hanno vigore e tatto, cuore e cervello, lasciate ogni speranza voi che pensate “ah, Trebbiano, non sa di nulla”. Ho scritto spesso di loro e ogni volta lo rifaccio perché sono questi i casi in cui possiamo testimoniare che l’andamento delle annate, delle pratiche in vigna e in cantina, ecc.. si riflettono nel bicchiere. In barba al Gattopardo e al “tutto cambia per non cambiare nulla”, qui il percorso lavorativo è sincronizzato alle lancette del territorio e vuole rappresentare una fotografia che ne mostra, eventualmente, anche imperfezioni e ritocchi. Un Trebbiano dai lati profondamente umani, sensibili. Un ritratto che ci riporta ad uno dei principali esponenti del movimento futurista: Umberto Boccioni, con il suo “stati d’animo” a voler intravedere cosa sarebbe diventato un Trebbiano d’Abruzzo nelle audaci mani di due giovanotti tra costa Adriatica e altipiani.
VI.TE: Associazione dedita allo sviluppo della conoscenza della cultura legata al vino naturale e all’educazione alimentare nei confronti dei consumatori, la valorizzazione della agricoltura biologica, biodinamica e la promozione dei vini naturali derivanti da tali pratiche. Il coordinamento e il sostegno di “attività e iniziative dedicate al vino naturale” e la collaborazione nell’organizzazione di “iniziative, manifestazioni fieristiche e attività del settore vitivinicolo a livello regionale, nazionale e internazionale.”
Terra dei Briganti – Nato Nudo
“Non v'è più bellezza, se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo."
Fiano sannita: guerriero col nemico, ospitale con l’oste. Caratteri campani, slang tedesco, parlano la lingua di Rudolf Steiner tra loro e tra i filari. Il duo biodinamico made in Torrecuso appare come un fulmine a ciel sereno a tratti incomprensibile. Bassissime rese e principi di biodinamica applicati in vigna, solo acciaio senza chiarifica e senza filtrazione. È la prima volta che vedo il logo Demeter qui in Campania, decisamente non la prima in cui un albero stilizzato compare sul fronte. Il Sannio, orgoglio e pregiudizio tra di loro, delitto e castigo per il mercato che, ad eccezione di qualche produzione, non ha mai realmente acceso i riflettori sull’areale, ha anche qualche voce fuori dal coro. Sono personaggi desueti per il contesto, tanto è vero che ho sentito strane voci sul loro conto e la visita presso la loro cantina mi ha causato non pochi danni, anche se a posteriori posso rassicurarvi che in realtà è attraversare le impervie stradine del beneventano soffermandosi sulle malelingue il rischio più grande. Ma stacchiamoci dalla percezione della gente e torniamo a quella del vino: il Fiano sulle discese dell’altro altopiano sta riscoprendo le proprie doti da maratoneta mentre qui, meno allenato e militante in una squadra che punta alla salvezza, cerca di far risultato a suon di sostituzioni e regole infrante. Così, come lo si vuole virgolettare su un paglierino soffice e moribondo, il Fiano “Nato Nudo” in cui ogni spiegazione dell’etichetta sembrerebbe superflua vuole dare un sorso terreno a questa puntura a metà tra menta e ortica, tattile come una tisana e pieno come un limone candito. Allieta, allevia, alleluja… un Fiano d’inverno che non gareggia con Mennea e i longevi gemelli irpini ma si riappropria di quell’identità sofferta perché in fondo, non tutti i bianchi devono battere il tempo record e a volte ci ritroviamo solo ad aver voglia di un bianco che non sappia di lychee e Dolomiti. Eccoli, Tony e Romeo come la mano del violinista di Balla sui nostri calici.
DEMETER: Associazione privata di produttori, trasformatori e distributori di prodotti agricoli e alimentari biodinamici. I soci sono coloro che gestiscono la propria azienda conformemente a precisi standard internazionali per la produzione, trasformazione ed etichettatura.
Brigante – Zero
“Il coraggio, l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.”
Zero revisionismo, zero malinconia verso il passato: Brigante è il nome della località. Zero solfiti aggiunti, zero lieviti selezionati e zero filtrazioni: questa volta non è un caso se il vino si chiama “zero”. Uno dei primi esperimenti di Gaglioppo vinificati in bianco, sicuramente il primo ad essere servito su una tavola milanese. Oltre l’hype, c’è sostanza? In rosa ci aveva stupiti, ma in bianco, togliendo al Gaglioppo quel ventaglio cromatico come a voler convertire in bianco e nero un tramonto, va contestualizzato. La scorza di bergamotto fa da ombra al calice, la foglia d’ulivo ne allieta il naso, ma quel grosso, grasso matrimonio greco che aveva sancito la Calabria “terra del vino” con il Gaglioppo a far da testimone di nozze sembra prediligere ancora abiti rosso Valentino, rosso Bordeaux o rosso Ferrari, insomma… non vuol passare la notte in bianco. Non è solo un’illusione ottica e forse in sequenza questo vino avrebbe dovuto ricoprire la 2’ o 3’ posizione ma ahimè, volendo percorrerla alla maniera futurista, ogni rigor di logica è andato a farsi benedire proprio come i nostri avanguardisti che iniziavano dal caffè e dal dolce durante i pasti. Dicesi “causa e effetto”, la trama si disconnette dalle coste calabresi e per quanto il colore ricordi vagamente l’orzata, la scelta di non filtrare e non applicare alcun make-up prima della messa in onda rendono questo vino un sentiero tra muschio, bosco e fresca aria di montagna. Una caramella Ricola senza l’aria pungente dell’inverno, una passeggiata sullo spirito meridionale che si ritrova altrove, come un brigante in un mondo moderno, fatto di packaging sostenibili e associazioni di settore. Sono anche loro FIVI e prima ancora che ci si spostasse da Piacenza a Bologna e da 0 alla prima DOCG regionale, Enzo e Luigi stavano già da tempo lavorando ad un consolidamento di sistema tra vignaiolo, associazione e territorio. Da Cirò restiamo folgorati, come Luciano Folgore con il suo “canto dei motori” a simboleggiare che anche la Calabria, per iniziativa e mai per inerzia, eppur si muove.
FIVI: Federazione italiana che identifica nel Vignaiolo Indipendente colui che coltiva le sue vigne, vinifica la sua uva, imbottiglia il suo vino e cura personalmente la vendita dello stesso, sotto la propria responsabilità, con il suo nome e la sua etichetta.
Stasera non è finita a botte, peccato, senza scatti d’ira e nemmeno troppi scatti fotografici. È stato come un ritorno al futuro ma qui, nel presente, bisogna passare dal verba volant dei calici allo scripta manent del Mipaaf, passando per l'articolo di Valentina Bertini, se vogliamo riempire quello spazio vuoto che risponde al nome di "vino naturale".
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