Ho letto che De Andrè ha scritto “la canzone di Marinella” perché colpito da quel triste fatto di cronaca, ha voluto regalare alla povera vittima un finale meno triste.
Così, la nostra degustazione che parte da una delle più gravi tragedie subite da Firenze in epoca contemporanea, l’alluvione del 1966, può risultare al sorso più morbida dopo aver raccontato questa storia? Ci proverò varcando i confini della realtà, facendo leva su un amore nato da quel fango e una sequenza di vini che scaraventano gli avvenimenti tristi in commedia, trasformandola in un’insolita love story ambientata in Maremma.
Nasce così, nel 1966 a Firenze l’incontro tra Pakravan e Papi, ultimo momento in cui i loro cognomi non saranno eternamente uniti da un doppio filo rosso comune. Storie, di tutti i giorni come cantava Riccardo Fogli che assumono connotazioni etiliche e a seconda degli umori percepiti, accarezzano o graffiano il degustatore che si imbatte nei litigi, le riappacificazioni, le speranze e i progetti di due persone unite nella produzione di un vino. La notizia dell’alluvione quel 4 novembre fa il giro del mondo e da ogni parte del globo accorrono persone per salvare la città, tra cui la giovane studentessa di storia dell’arte iraniana Amineh e l’audace maremmano Enzo. Li chiameranno poi “gli angeli del fango” e superata l’emergenza, lei già innamorata dell’arte rinascimentale di Firenze troverà qui un nuovo amore, lui, mentre lui, già innamorato del vino, si lega a lei e insieme avviano questa relazione che vedrà nelle diverse fasi nel rapporto un vino a rappresentarne ogni periodo:
Gabbriccio: le premesse per una lunga storia d’amore
Lo scenario che si presenta a lei, lasciata la Persia e appena introdotta in Italia, è il seguente: Maremma Pisana (Val di Cecina), ultimo comune della provincia di Pisa a confine con Livorno (oggi rinomata zona vitivinicola, Bolgheri). Lui, ragazzo di campagna, veniva qui a caccia col padre e adesso insedia in una casa colonica costruita durante la bonifica asburgica il nuovo nido d’amore e una nuova avventura da scrivere, partendo da ciò che conoscono meglio: il Sangiovese.
Gabbriccio è un Sangiovese piccolo, clone piuttosto distante dal grosso conosciuto a Montalcino, in quanto più compatto, dal tannino più marcato, che risente della brezza marina e che poggia le proprie radici sul cosiddetto “Gabbro”, un terreno argilloso misto rocce di effusione di matrice vulcanica.
Serra de' Cocci: l’influenza francese sulla coppia
Il vino è ancora hobby di famiglia e mentre lui è promosso dirigente in Fiat, lei va a studiare a Bordeaux. Da lì, mente e cuore trasformano le idee in azione. Enzo porta organizzazione e un modello economicamente sostenibile in Azienda, lei quel vitigno che l’aveva affascinata durante la permanenza in Francia: lo Chardonnay. Ma Riparbella non è la Côte d’Or e insieme si decide di raggiungere un compromesso: si pensa quindi di aggiungere un po’ di Malvasia locale allo Chardonnay che fermenta in barrique. La Borgogna fa i conti con il "maledetto toscano".
Serra de’ Cocci è la convivenza tra un bianco blasonato e un’identità locale ben definita, incentivando lo scambio attraverso i frequenti battonage e la lunga sosta in bottiglia. Solo una piccola porzione del vigneto è adibita a questa etichetta, disposta a nord dove, guarda caso, il sole è meno violento e i vigneti affacciano proprio sulla Francia (la Corsica), rendendo chiaro l’obiettivo di voler ricreare un prodotto che prenda il meglio dalle due nazioni.
Cancellaia: il triangolo
Sono gli anni della maggiore consapevolezza sul vino, lo scandalo del metanolo è per fortuna alle spalle (1986) e Pakravan Papi punta a migliorarsi sempre di più. In cabina di regia si decide di inserire Graziana Grassini, allora braccio destro di Tachis (vi dice niente… Sassicaia?) ed è giunto il momento di mettere a frutto ciò che Amine ha visto a Bordeaux, la conoscenza del territorio di Enzo e le doti dell’enologo: si proverà a fare un taglio bordolese qui a Riparbella.
Cancellaia è un 60% Cab.Sauvignon e 40% Cab.Franc, disposti su un impianto a bassa densità che dal versante sud riesce a beneficiare delle correnti e della folta vegetazione che lo abbraccia. 12 mesi di barrique francese e 4 mesi in tini di cemento. L’annata in commercio non può essere né questa né la precedente, si sa, l’attesa aumenta il desiderio e certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano.. quindi toccherà pazientare un po’ prima di poterlo bere, ma il tuo palato saprà percepire dove vuole arrivare questo vino etrusco che ami o odi, ma amici mai.
Campo del Pari: amore che vieni, amore che vai
In Cantina c’è una nuova generazione che accompagna e supporta la coppia: i due figli, Chiara e Leopoldo. In più, in netto anticipo rispetto ad altre zone, si comincia un lavoro di zonazione per individuare una porzione di terreno che possa ospitare un Merlot in purezza. Lo si individua nella località “Campo del Pari”, più alta rispetto agli altri filari e con terreni più profondi (ergo maggiormente adatti nel contenere l’acqua) di colore grigiastro, con argille a “palombini” che ricordano vagamente alcune aree del Chianti Classico.
Campo del Pari è un Merlot 100% accuratamente selezionato in vigna che dopo la fermentazione malolattica, matura 14 mesi in barrique di rovere francese per poi concedersi circa 6 mesi in cemento e 12 in bottiglia. È questo il vino che chiude la degustazione, lasciandoci incollati al tavolo per sapere come andrà poi a finire, se ci saranno ulteriori sviluppi e come procederà con le nuove generazioni in Cantina. L’invito è quello di seguire la seconda stagione, su Netflix? No a Riparbella, in Cantina.
Complimenti per la tua straordinaria apertura mentale, non conoscevo questa realtà